Era un cancello verso l’altrove,
ma l’altrove era chiuso.
La gente la sfiorava ugualmente,
come ciechi che tastano
il muro di un carcere.
Qualcuno giurò di aver visto
paesaggi sbocciare oltre le sbarre:
città di cenere, stazioni senza orari.
Era solo il riflesso
delle loro pupille vuote.
Un giorno la transenna arrugginì,
si piegò su se stessa
come un foglio accartocciato.
Nessuno notò la differenza.
Ora giace in un angolo,
dimenticata,
mentre la gente cammina
verso altre illusioni.
© Fulvio Macchi Vandelli