Nebbia d’oleandro e catrame,
sulle quinte del borgo che giura all’arte
una festa,
ma scorda il quadro.
Sono tornato per caso
il pennello tra le dita d’ombra,
la memoria dei gigli che bevevano cielo,
e le acque, immobili come giudizi.
“En plein air!” grida un manifesto unto
accanto al baracchino della birra.
Rido (o piango?) tra i fumi di porchetta
e musica sintetica che sfregia il tramonto.
Là, dove il sole vibrava sulle aiuole,
ora una griglia tossisce salsicce
e i bambini colorano con plastica
un'idea di campo.
Un pittore non chiede fedeltà
ma l’anima, sì,
quando si scioglie nel vento
e cerca la luce che non fa commercio.
Ma qui il cielo è tapparella storta,
e la parola che un tempo apriva il mondo
oggi chiude lo stomaco.
En plein air.
Sì, ma per ubriacarsi.
© Fulvio Macchi Vandelli